Sono passati circa 20 anni dall'uscita sul mercato di uno degli FPS più conosciuti di sempre: quel Painkiller sviluppato da People Can Fly che si proponeva come una valida alternativa allo strapotere di DOOM (ci ho giocato a suo tempo, ed era spettacolare! - NdNew_Neo). Il concetto era fondamentalmente lo stesso: far fuori tutto ciò che si muove senza preoccuparsi più di tanto di risvolti narrativi (meglio se ci sono ovviamente), puzzle ambientale o di qualunque elemento di distrazione.
Il successo del gioco di allora fu decretato fondamentalmente da un buon equilibrio tra comparto tecnico e personalità, completato da una buona gestione delle armi, dalla presenza dei Tarocchi per potenziamenti temporanei e da una sbalorditiva (per quel tempo) gestione della fisica. Al punto che ne uscirono anche altri a creare una vera e propria saga, l'ultimo dei quali nel 2012. Dopo tutto questo tempo quei simpaticoni di Anshar Studios hanno voluto pubblicare questo reboot che dovrebbe riproporre, con i giusti adattamenti in chiave moderna, quello sparatutto di allora, sperando di ripeterne il successo. Vediamo, nella nostra recensione, se hanno fatto centro.

La trama di gioco è, come lecito attendersi in un FPS (fist person shooter) di questo tipo, abbastanza semplice. Ink, Void, Soul e Roche si trovano in Purgatorio, costretti a combattere contro le forze di Azazel, il classico demone che vuole conquistare la Terra e devono riuscire a fermarlo per guadagnarsi la loro possibilità di redenzione e quindi salvarsi. Effettivamente durante il gioco non ci sono tantissimi altri risvolti narrativi, salvo qualche piccola aggiunta qua e là. Dal momento che è impossibile non lanciarsi in paragoni, nessuno dei quattro eroi attuali ha la personalità e il carisma di Daniel Gardner che sembrava l'incarnazione del testo musicale di Judas Priest (intitolato appunto Painkiller) che ha dato ispirazione al gioco. Ognuno di loro ha delle caratteristiche diverse (anche se non poi tanto) tra chi ha più salute, chi infligge più danno, chi porta più munizioni o chi ricarica energia più velocemente.
Abbiamo parlato di quattro eroi anche se potremo scegliere solo uno: ebbene diciamolo fin da subito, stiamo parlando di uno sparatutto cooperativo, quindi comunque gli altri tre, che siano BOT o controllati da umani, parteciperanno alla nostra avventura. Dopo un paio di istruzioni iniziali, in un tutorial abbastanza minimalista per la verità, cominceranno le orde di demoni pronti a farci la pelle e quindi si comincerà a sparare a destra e a manca senza soluzione di continuità. Una delle differenze rispetto alla versione del 2004 è ovviamente nelle arene che adesso puntano anche alla verticalità (cercando quindi di espanderne la portata) e alla mobilità continua, ormai tipica negli sparatutto moderni.


A non mancare sicuramente è il ritmo forsennato, che lascia pochissimi spazi alle fasi di riposo tra una carneficina e l'altra. Il continuo movimento è necessario per evitare di farci accerchiare dalle varie orde che in realtà se non brillano per IA, sono pericolose per il gran numero. Dalla nostra parte c'è anche un rampino (tasto RB) che dovrebbe permetterci oltre alle scalate, anche di garantirci delle ottime vie di fuga per toglierci dalle situazioni di accerchiamento. Paradossalmente, però, c'è qualcosa che lo rende molto più macchinoso di come dovrebbe essere, soprattutto quando vogliamo usarlo per appenderci a qualche spuntone di roccia e atterrare oltre: è come se difettasse di precisione nelle hitbox, più di una volta siamo finiti nel baratro anche se eravamo convinti di aver spiccato il salto con i tempi giusti.
Buona invece la varietà di demoni che ci vengono addosso, coadiuvati ovviamente dagli immancabili boss di fine livello, i Nephilim, figli di Azazel, enormi, pericolosissimi e ovviamente ostici da buttar giù. Ci sono in totale nove missioni principali, divisi in tre grandi biomi di tre livelli ciascuno: non tantissimi vista anche la brevità degi stessi. Come dicevamo l'obiettivo principale è quello di sparare, sono pochissime le occasioni nelle quali verremo chiamati a fare altro e di solito si tratta di spostare un elemento dal punto a al punto b.

Uno degli aspetti meglio riusciti di questo nuovo Painkiller è sicuramente la resa sul campo delle varie armi sui poveri "malcapitati" demoni che ci vengono contro. La demolizione dell'avversario viene ottimamente rappresentata con smembramenti e sangue che scorre a fiumi. Ci sono in totale sei tipi di armi, oltre alla Painkiller che ci serve anche per raccattare proiettili dai nostri nemici, tutte quante personalizzabili e migliorabili. Ottime sia l'Electrodriver che la Stakegun, entrambi subito disponibili, mentre altre le dovremo sbloccare man mano - come lo stupendo e devastante Shotgun - anche se alla fine dei conti si finisce con il puntare su quella di nostro gradimento e investire tutte le risorse raccolte in giro (monete e anime) su di essa per cercare di potenziarla al massimo.
Raramente ci verrà voglia di alternarle tutte, meglio una ma ben messa: gli stessi potenziamenti poi andranno fatti in maniera oculata, ad esempio non ha senso potenziare la capienza di munizioni con una Painkiller a disposizione che oltre a triturare gli avversari ci garantisce una fornitura pressoché infinita di proiettili. Lo stesso si può dire per i Tarocchi, da selezionare prima della missione per potenziare alcune caratteristiche del nostro personaggio, come danno, vita o bonus sulle risorse presenti in giro. C'è una buona varietà di oltre 40 carte, ma il costo richiesto in termini di investimento per scoprire una carta ci porterà fondamentalmente a puntare sempre su quelle sicure. Peccato perché sia nelle armi che nei tarocchi, a pesare è la penuria di risorse da raccogliere (e anche faticosamente) che finisce con il trasformarci in tirchi e pidocchiosi incidendo tanto sulla progressione.


Naturalmente in modalità cooperativa con altri tre amici online le cose cambiano un po', data la possibilità di sincronizzarsi per affrontare le varie orde accrescendo il divertimento: azione questa impossibile giocando con dei Bot che cercano di andare di testa loro o anticipando le nostre mosse o lasciandoci in balia del nemico. C'è anche una modalità chiamata Angelo Ribelle dove affronteremo dei livelli generati in maniera procedurale portandoci dietro un equipaggiamento casuale. In totale ce ne sono sette ed è una vera e propria modalità sopravvivenza con un livello di difficoltà particolarmente ostico, ma utile per accumulare monete da investire poi per sbloccare le varie armi.
Purtroppo sia nella campagna principale che nella modalità Angelo Ribelle dopo un po' a far capolino è un certo senso di ripetitività, coadiuvato dal ripetere sempre le stesse cose senza intervallo alcuno tra una carneficina e l'altra. Inoltre non c'è nulla, almeno al momento, che favorisca in qualche modo la rigiocabilità dopo l'End Game. Il voler provare armi diverse o un personaggio diverso non è giustificato in alcun modo da differenze narrative o di gameplay rispetto alla partita precedente. È un po' il discorso che dicevamo sulla progressione del personaggio, che punta esclusivamente su determinate armi e sempre sugli stessi Tarocchi, vanificando per certi versi lo sforzo degli sviluppatori nel mettere tanta roba sul piatto: probabilmente si tratta di deficit di level design o di pattern d'attacco che dovrebbero, per certi versi, costringerci a modificare in corsa il nostro modo di giocare per evitare quel senso di appiattimento.

Anche il comparto tecnico finisce per rispecchiare quanto percepito nel gameplay. Dal punto di vista grafico ci sono delle belle e iconiche realizzazioni, soprattutto ambientali, alternate però ad altre meno d'impatto, anche se preso nell'insieme graficamente il gioco si difende bene, e lo stesso possiamo dire dal punto di vista audio anche se la colonna sonora fa di tutto per provare a infonderci la giusta adrenalina.
Durante i nostri test abbiamo riscontrato un paio di bug importanti, come un imponente crash iniziale e una partita interrotta bruscamente perché ci avevano buttato fuori dal server. Nulla che alcune patch non riuscirebbero a correggere comunque. La verità è che, preso nel suo insieme, è come se a Painkiller mancasse di una identità forte. A differenza del suo concorrente del momento, DOOM: The Dark Ages, a mancare è proprio la personalità, quel qualcosa che ci faccia esaltare partita dopo partita, che lo distingua dagli altri.
Tutto in Painkiller è come se fosse bello sì, ma anche abbastanza anonimo e di certo non indimenticabile. Manca il mordente, in pratica e probabilmente la causa sarebbe da ricercare in diversi suoi aspetti, dalla caratterizzazione dei vari personaggi, al senso di progressione, al level design. Di certo non aiuta la ripetitività che incombe dopo le prime partite, contribuendo a rovinare un gioco che avrebbe potuto dare certamente molto di più.
Modus Operandi:
abbiamo lottato in Purgatorio grazie a un codice fornitoci da Press Engine.
