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The Legend of Zelda: Breath of the Wild - Turisti e Viaggiatori
Redattore:   Paolo 'NEGs' Frani                          Pubblicato il:   09/01/2018
Il videogioco inteso come un viaggio negli intenti dell'autore. Tra arte e narrazione, partecipazione e contemplazione. L'ultimo Zelda invita a meditare sul come ci si pone ai videogiochi nell'era moderna.
Non si vede bene che col cuore, l'essenziale è invisibile agli occhi.

Non potevo che iniziare così per parlarvi di come ho vissuto Breath of the Wild. E non posso che parlare di A Link to the Past, per introdurvi in questo mio monologo (no, non stenderò una recensione). Partendo dal pad del Super Nintendo.

Quando impugnai quel pad coi bottoni colorati, i bordi tondeggianti, ed iniziai la prima volta "A Link to the Past" (da qui in poi solo ALTTP) mi sentii un piccolo principe davanti ad un mondo "che non era nulla, che andava addomesticato" [dotta citazione sempre di "Saint Exupery"]. Con le sue regole come certi oggetti impossibili da sollevare senza lo strumento corretto e con un protagonista che non saltava se non da certe sporgenze.

Ci credereste? I miei primi momenti su ALTTP furono tediosi perché, nonostante la pletoria di pulsanti sul pad, non ve n'era uno deputato al salto. Quella cosa mi mandava fuori di testa. Avrei potuto, date anche le difficoltà linguistiche del tedesco (si, la mia copia era in tedesco. -NdR), abbandonare il gioco e bollarlo come carente, mancante, lasciarmi vincere da limiti che erano solo miei e perdermi così l'avventura ludica più iconica ed importante della mia vita (non solo) di videogiocatore. Ma quella notte piovosa magnificamente rappresentata a schermo, quella musica ed il sentore che qualcosa di potente prendeva vita oltre le poche informazioni e possibilità in mio possesso in quel momento, mi spinsero avanti. Dizionario traduttore alla mano, focalizzandosi non sui limiti (l'assenza del salto mi tormentò a lungo) ma sulle POSSIBILITA'.

Il resto è storia: malinconia, nostalgia, ricordi. Qualcosa chiuso a doppia mandata nel luogo della memoria che più ci è caro e prezioso. Quel gioco bucò lo schermo. Come possono farlo certi libri, certe opere in cui si respira qualcosa di prezioso, ed unico, qualcosa che ci arricchisce. Ognuno di noi ha quel libro, quel film, quel gioco o quel fumetto importante, che sentiamo nostro. The legend of Zelda: A link to the Past era questo e molto altro. Era libro; da tradurre piano, parola per parola, per svelarne il mistero. Era avventura; malinconica e colorata, divertente e nostalgica. Era musica, la più potente e galvanizzante melodia del sedici bit. Ed era viaggio. Un viaggio disseminato di prove, di successi, fallimenti e tentativi.

Quasi quattrocento parole ed ancora non si è parlato di Breath of the Wild. Eppure, è innegabile ammettere che parlare di a link to the past è parlare anche dell'ultima incarnazione. Perché il balzo evolutivo tra le due opere è tecnico, più che concettuale. Ci ho dovuto pensare a lungo prima di decidere se scriverne, lo sanno bene i miei amici a cui ho confidato dubbi e timori. Perché esistono due categorie di videogiocatori: i turisti ed i viaggiatori.

- Il turista attraversa il bosco mentre si reca da un punto all'altro del sentiero.
- Il viaggiatore contempla le verdi chiome ed il vento che ne corre al traverso.

Il turista gioca l'avventura, il viaggiatore la vive.

Ho visto troppi turisti descrivere Breath of the Wild come se, parlando di un libro, si limitassero a: "sono caratteri stampati in inchiostro su un materiale prodotto da un impasto a base di cellulosa vegetale". È corretto, anzi, preciso. Ma è così che descrivereste Le Petit Prince? Attenzione, però: non si discute se abbia ragione il turista od il viaggiatore, si vuole portare il videogiocatore a chiedersi cosa cerchi in un videogioco. Come lo interpreti.
Sovente succede che le aspettative siano tali da influenzare negativamente, o positivamente, il nostro stesso giudizio.
Chi è stato affascinato dal videogioco al punto da diventarne viaggiatore, generalmente cerca nello strumento ludico un contatto più profondo col media elettronico: cerca partecipazione, sfida, coinvolgimento. Emotivo oppure fisico, od entrambe, basato sull'abilità di sviluppare una coordinazione di movimenti tale da superare, in un mondo artificiale, le sfide a difficoltà crescente ivi proposte. Di capirne la natura e sottostare alle sue leggi peculiari e non sempre immediate. Od anche di sentirsi partecipe in una narrazione ricca e dilatata come solo il videogioco riesce ad inscenare. Generalmente, si può dire che il viaggiatore del videogioco è più propenso a comprendere un mondo virtuale, più che al giudicarlo mentre lo attraversa.

Il turista, semplicemente, fruisce del prodotto e vorrebbe che il prodotto rispondesse alle sue esigenze. È un consumatore.

Il dubbio sull'affrontare questo argomento nasceva tutto da questo presupposto: turisti e viaggiatori, seppure attraversino gli stessi luoghi, vedono cose diverse e non si capiscono. Gli uni si sentono anzi urtati dalle convinzioni degli altri, al punto da soffrirne. Il videogioco per un viaggiatore è una cosa intima e preziosa: agli albori di questa passione a generare il fascino che trasforma in viaggiatori è il sentirsi compresi, nei propri bisogni, dall'autore del videogioco. Il turista prova un senso di frustrazione quando viene trattato con superficialità da un viaggiatore, lo interpreta come snobismo puro e semplice: incomprensioni. E le incomprensioni generano sempre sofferenza. Chi ha affrontato la diffusione del videogioco nell'ambiente sociale degli anni ottanta e novanta ricorda quanto il media fu osteggiato ed incompreso dalla massa. Guardare un film o leggere un libro erano cosa buona e giusta mentre il videogioco era il male: perché incompreso nelle sue potenzialità (tre decenni dopo, incredibilmente, non siamo ancora liberi da queste convinzioni ottuse). Eppure, per l'appassionato, solo il videogioco riusciva ad essere pienamente appagante. L'appassionato di videogioco si sentiva compreso, dall'autore dello stesso, nel suo bisogno di uno svago più coinvolgente e che offrisse una partecipazione più profonda.

Breath of the Wild comincia qui, rivolgendosi proprio all'appassionato di quei tempi, oramai cresciuto ed adulto... e lo fa in modo delicato e toccante, usando il concetto di mondo aperto sulla base della dicotomia gioco/responsabilità. Il mondo di gioco si apre su un equilibrio: quello delle forze oscure che hanno avuto la meglio. Il paesaggio però non ne è stravolto: è verdeggiante e lussurioso e mostra una natura che, dopo la tragedia, ha inglobato bene e male ed ha guadagnato una dominanza. Le macchine mortali giacciono sopite quanto i ruderi delle civiltà, ora piccole e confinate come il male oscuro sul castello. Vi risvegliate quindi con la voglia di esplorare, e vagare, e scoprire e giocare come discoli liberi e felici in un mondo vasto e misterioso; tangibile e vitale. La storia vi racconta che tutto è perduto, che il tempo di eroi e principesse è finito cento anni prima. Per voi, magari, da meno; oppure siete entrati da poco nel mondo adulto delle responsabilità e dei doveri. Ma il concetto non cambia. Eroi e principesse e fiabe e leggende sono nel passato: davanti a voi avete la libertà. Allora potete passare dieci, venti o quaranta ore a bighellonare, ad esplorare, a fare dispetti a gruppi di nemici od a superare prove nei sacrari unicamente per il gusto di farlo. E non sarebbero ore sprecate: molti giochi offrono meno e per meno tempo eppure sono bellissimi e coerenti con loro stessi e coi loro propositi. Qui c'è di più. Ma ogni tanto, contemplando magari un tramonto dopo lo svago assoluto, l'occhio cade sull'oscurità che regna sul castello, sul simbolo. Allora il dovere, la responsabilità, si fa sentire.

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Marginale all'apparenza, costantemente presente in realtà. I colossi, gli enormi simboli del fallimento, gli spiriti dei nostri amici oramai scomparsi ivi ci attendono. La sensazione che percepii nel primo colosso mi trasportò proprio a quei tempi dove l'avventura si affrontava anche in compagnia. Seduti a terra col naso all'insù, scambiandosi idee e consigli nei punti difficili, provando a turno e passandosi il pad. Quei tempi sono sepolti, ne resta lo spirito. Ogni tanto, quando rigioco ad ALTTP, ricordo i punti dove un amico aveva scoperto come superare quell'enigma ambientale o, ad esempio, che si potesse usare il retino per respingere gli attacchi magici di un certo nemico. Ci siamo persi di vista, ovviamente, eppure qualcosa di loro è rimasto; il gioco a fare da ponte con la memoria. Questa sensazione si è rafforzata ad ogni colosso. Sì, il messaggio era limpido anche se delicatissimo: Link, ed il giocatore con esso, certamente avevano perduto qualcosa nel loro percorso, ma le memorie sopravvivono ed a quelle ci si può, e deve, aggrappare nelle difficoltà.

Breath of the Wild quando smette di essere lo spensierato, bellissimo open world parla di solitudine e di come, anche se vorremmo poter vivere una vita libera e selvaggia, si debbano sempre fare i conti con i doveri e le responsabilità. Che ammettere il fallimento sia doloroso, ma necessario per poter riportare ordine nella vita nostra, di chi ci sta attorno e di chi ci ha accompagnato anche solo per poco, per maturare. Scoprire il valore dei ricordi e della memoria che ne siamo spesso i soli custodi. Ti racconta che Link è cresciuto con te, che il suo percorso per ritornare ad essere l'eroe della leggenda passa per le tue mani ancora una volta ed ancora una volta la principessa ti sta aspettando, ma può aspettare ancora, che vi sentiate pronti a rinunciare ad un poco di libertà in cambio del senso dell'amore, dell'onore e del dovere.

Resterete delusi, forse, dal fatto che io non parli qui di tecnicismi. Non mi interessano. Magari il turista si accontenta di quello, che ribadisco, non è comunque poco: diciamocelo, ha anche il diritto di criticare, ma anche di chi dovrebbe ammetterne la natura superficiale. Certo io non giudico un testo dalla carta su cui è stampato e nemmeno dal tipo di carattere usato, ne cerco invece il messaggio che l'autore ha nascosto dietro la natura di prodotto commerciale. Se volete approfondimenti sulla fisica che impera nel mondo di gioco e sulla qualità artistica del tutto potete frugare la rete, in altri articoli e recensioni sono sicuro troverete chi ne sa trattare in modo più approfondito di me. Ma ricordatevi che quelle sono analisi sterili. Sono il voler pesare la materia di cui sono fatti i sogni.

The Legend of Zelda: Breath of the Wild è una vecchia storia raccontata col più moderno e recente degli strumenti narrativi: la visione appassionata di videogioco per appassionati videogiocatori.

Il fatto che questo gioco divida l'utenza è un chiaro indicativo della complessità di elementi di cui è formato, alcuni palesi ed altri sottili e celati. Solo le opere più dense diventano lo spartiacque che trasforma una massa variegata in due categorie distinte. Ci sono i turisti, che vi spiegano come attraversare il bosco. Ma se in un punto molto profondo del vostro essere sentite che il bosco è misterioso ed affascinante, parlate con un viaggiatore... ve ne illustrerà il sovrannaturale di cui è permeato.

 A link to the past resta uno dei picchi massimi raggiunti dalla serie. Splendido oggi come allora.
 La sensazione di magia e surreale che permea l'ultima avventura di Link è veramente intensa
l'atto di arrampicare, nel gioco, è reso con una fisicità molto naturale
 I paesaggi sono delicati e maestosi
 I tramonti sono di una profondità entusiasmante
 Panorami mozzafiato
I sacrari sono le prove da superare per assurgere al titolo di eroe della leggenda: si possono superare anche con una buona dose di arguzia e pensiero laterale!
Per approfondire: