Labyrinth City: Pierre the Maze Detective è indubbiamente un gioco visionario che introduce un gameplay profondamente minimalista in un contesto grafico strabiliante. Di solito il concept dell'esplorazione all'interno di un labirinto fa scendere verso il basso la qualità di un videogioco, semplicemente perché il giocatore finisce con il perdersi e il senso di frustrazione è sempre dietro l'angolo. Questa problematica solitamente viene fuori anche in un open world, gioco nato per la libertà di esplorazione e proprio per questo gli sviluppatori, soprattutto in tempi recenti, cercano di venire incontro al giocatore inserendo sugli scenari punti di riferimento e indizi per facilitare l'esplorazione stessa. Rendere quindi gradevole un gioco di questo tipo è impresa non da poco ma il gioco concepito dall'estro di Kamigaki e Darjeeling ci riesce in pieno, spostando il fulcro del gioco dal gameplay all'osservazione degli scenari che distraggono il giocatore durante tutti i vari livelli.
Nel gioco vestiremo i panni di Pierre, un detective francese specializzato nella risoluzione di enigmi labirintici, chiamato a ritrovare la Pietra del Labirinto, rubata da un museo da Mister X. Si parla di un manufatto dai poteri magici, in grado di portare scompiglio in tutto il mondo. I quartieri di Parigi vengono quindi stravolti da uno strano fenomeno, trasformandosi immediatamente in complicati labirinti. A noi il compito di trovare l'uscita di volta in volta recuperando nel contempo alcuni oggetti come tesori, stelle e pagine del diario di Mister X e affrontando per ogni livello (ci sono sette mappe in totale per 10 quartieri di Parigi tutti da esplorare) un puzzle tutto sommato abbastanza semplice da risolvere. La trama di gioco è tutta qui con un gameplay parecchio semplice che non necessita di alcuna spiegazione anche se, magari, un piccolo tutorial almeno nelle prime battute di gioco non avrebbe guastato. Ad esempio durante il nostro test abbiamo raccolto la seconda stella saltando completamente la prima dato che nessuno ci aveva avvisato della necessità di prenderle.
Gli scenari di Labyrinth City sono interamente disegnati a mano, in un valzer di colori che ben si sposa con la grafica fumettistica nata dal genio di Kamigaki. In realtà i riferimenti stilistici si sprecano, passando dai nostri Jacovitti e Piranesi alle prospettive impossibili di Escher senza tralasciare alcuni riferimenti ai quadri di Dalì e di Magritte e potremmo continuare per ore. Su schermo ci sono tantissimi personaggi, spesso senza alcuna continuità narrativa fra di loro e tutti animati. Ne vien fuori uno scenario stracolmo di elementi che spesso distraggono dalla ricerca della via d'uscita coinvolgendo il giocatore e invitandolo più volte a fermarsi per "osservare il panorama". Il disordine presente sullo sfondo è simile a un quadro preso dalla "settimana enigmistica" dove il giocatore deve cercare di trovare un determinato oggetto su schermo, con la differenza che qui ci soffermeremo su ogni piccolo particolare. In questo modo il continuo andirivieni per cercare una via d'uscita che ci porti alla fine del livello invece che annoiarci sposterà la nostra attenzione sui tanti, voluti, metodi di distrazione concepiti dalla mente visionaria degli sviluppatori.
Nel gioco sono presenti più di 500 interazioni con i personaggi presenti su schermo, ognuno dei quali avrà qualcosa da dirci se solo ci soffermeremo dalle sue parti. Battute, citazioni e riferimenti di ogni tipo al mondo del cinema e della letteratura tanto che faticheremo a individuarli tutti anche perché alcuni sono stati opportunamente modificati per esigenze di copyright. Ogni interazione si presenterà, in pieno connubio con lo stile grafico, in un fumetto, fortunatamente ben tradotto nella nostra lingua mentre la narrazione di gioco è doppiata da una sola voce in lingua inglese ma comunque apprezzabile per enfasi e recitazione. Il gioco sposta tutta la sua forza sul comparto grafico mentre il semplice gameplay presta il fianco a una realizzazione tutto sommato approssimativa con animazioni abbastanza legnose del nostro protagonista che finisce per muoversi esclusivamente su binari prestabiliti.
Sicuramente Labyrinth City: Pierre the Maze Detective, chiaramente ispirato al libro "Alla ricerca del labirinto. Pierre detective" di Hiro Kamigaki, è un gioco dove è più importante guardare che giocare. Come dicevamo prima la risoluzione dei vari labirinti non è difficile, si tratta esclusivamente di procedere per tentativi finché non si trova la strada giusta, ma il giocatore finirà comunque per divertirsi semplicemente osservando e interagendo con tutti gli strani individui che popolano i quartieri di Parigi e ce n'è davvero tanta di roba, tanto che alla fine delle circa sei ore necessarie per completarlo dispiace che il gioco non duri un po' di più. Il gioco supporta pienamente l'uso del controller; per i nostri test abbiamo utilizzato quello della Xbox 360 senza alcun problema. Ogni tanto è saltato fuori qualche bug ma onestamente, vista la stranezza della produzione ci siamo interrogati più volte sulla natura degli stessi, cioè se fossero errori di programmazione oppure voluti dagli stessi sviluppatori.
Alla fine della fiera Labyrinth City: Pierre the Maze Detective è un gioco particolare, che non eccelle sicuramente dal punto di vista del gameplay, riducendosi alla semplice risoluzione di un labirinto dietro l'altro, ma che stupisce dal punto di vista grafico, con stupendi fondali interamente disegnati a mano e stracolmi di personaggi, citazioni, interazioni e tantissimo altro che lasciamo a voi il piacere di scoprire. Proprio per la sua semplicità di gioco può essere quindi adatto a trascorrere una serata in totale relax ma se amate l'arte allo stato puro, perché di questo si tratta, non potete non dargli una possibilità anche per l'onesto prezzo al quale viene proposto.
Modus Operandi:
abbiamo vissuto la surreale avventura del detective Pierre grazie a un codice fornitoci dagli sviluppatori tramite Cosmocover.