I giochi di avventura hanno da sempre appassionato milioni di giocatori. Inizialmente solo testuali, si sono evolute in un crescendo di tecnica e impatto visivo al punto da offrire ai giocatori esperienze indimenticabili. La storia delle avventure punta e clicca va ricercata tantissimi anni or sono, fin dalla comparsa di Maniac Mansion e del fortunatissimo Zak McKraken, dove, anche senza l'ausilio del mouse, si agiva sullo scenario indicando al personaggio sotto il nostro controllo il movimento da fare (vi ricordate le frecce direzionali dei giochi sopracitati?). Con l'avvento del mouse dall'Amiga in poi le cose si sono un po' semplificate, eliminando quantomeno la scocciatura del movimento del personaggio che adesso raggiungeva la direzione indicata dal puntatore del nostro "topo" (da lì la definizione punta e clicca), un esempio la fortunatissima serie Monkey Island. Alla base di un'avventura degna di questo nome ci sta ovviamente una storia da raccontare, ben articolata, intrigante e soprattutto in grado di stimolare il giocatore ad andare avanti per la risoluzione del gioco. In mezzo tanti enigmi da risolvere, ostacoli da superare e scenari che da statici sono diventati sempre più interattivi e fondamentali per la prosecuzione dell'avventura stessa. In questo tipo di giochi gli sfondi non fanno mai da contorno anzi nascondono spesso le soluzioni degli enigmi che ci si trova di fronte, con oggetti messi lì quasi per caso e che vanno raccolti, esaminati e combinati con altri per poter andare avanti. Questa osservazione profonda della scena si è evoluta poi generando un altro tipo di giochi, tutti i vari Indie del genere "Aguzza la vista" dove bisogna trovare oggetti sullo schermo, ma questa è un'altra storia.
Nel corso degli anni, dicevamo, ci siamo trovati davanti avventure sempre più curate dal punto di vista tecnico in grado di offrire una grafica mozzafiato, un comparto audio di alto livello e storie stupende: è il caso di Syberia I e II (il terzo lasciamolo perdere), Broken Sword, Mistery of Tunguska e potremmo continuare all'infinito. Tutti giochi nei quali bisogna ben spremere le meningi per venirne a capo ma il problema principale risiede nel bilanciamento del livello di difficoltà: gli enigmi devono essere difficili ma non impossibili e soprattutto, pur mantenendo un certo grado di stravaganza, devono essere coerenti e risolvibili dalla logica umana.
In questo contesto, un gioco di produzione tutta italiana, realizzato con un basso budget (e con l'aiuto del crowdfunding) ma con tanta passione, non può non riscontrare la nostra approvazione. Al di là del fatto che non servono risorse enormi per poter divertire il pubblico (lo dimostrano i tanti piccoli capolavori Indie usciti sul mercato) è percepibile, giocando a Detective Gallo, tutta la passione e l'impegno degli sviluppatori: Footprints infatti è costituita da soli quattro membri (i fratelli Maurizio e Francesco De Angelis, Mauro Sorghienti e Gennaro Nocerino), segno che oltre alle grandi risorse, non servono neanche giganteschi team di sviluppo per ottenere un buon prodotto finale. Naturalmente le avventure punta e clicca si prestano a tutto questo, proprio per quanto già detto in precedenza: una bella storia, dei personaggi simpatici e buoni scenari rappresentano già il 70% del lavoro ma comunque, visti i paragoni scomodi e la temibile concorrenza sulla piazza anche questo genere di giochi deve offrire qualcosina in più se vuole emergere in un mercato spietato. Altri buoni ingredienti per la minestra quindi sono rappresentati da un prezzo concorrenziale, dall'atmosfera di gioco e da un gameplay che, per non sfigurare, deve rispondere ai canoni di difficoltà non esagerata già citati in precedenza. In conclusione quindi ci troviamo dinanzi a tanti elementi, tutti importanti che possono esaltare il lavoro degli sviluppatori oppure svilirlo con il rischio di un fiasco che vanifica mesi (se non anni) di paziente lavoro.
Protagonista della nostra avventura è un pennuto, intercalato in un'ambientazione noir stornata dalla grafica cartoonosa e molto colorata. Se volessimo trovare qualche riferimento, il nostro si ispira chiaramente a Dick Tracy anche se grazie all'ambientazione molto disneyana, sembrerebbe somigliare di più ad Umperio Bogarto, lo stravagante detective abitante a Paperopoli. Tutta la storia comunque si sviluppa su canoni di vera e propria stravaganza, con assassini di piante da catturare, baby-delinquenti con tanto di ciuccio in bocca e malviventi armati di pistole lancia-baobab. La storia si discosta dal realismo per lanciarsi in un'avventura fantastica che esalta la creatività degli sviluppatori: in questo contesto quindi è possibile realizzare un graffito su un muro servendosi di una parrucca combinata con un attrezzo telescopico, così come è possibile assemblare un faro usando delle caramelle appiccicose. Per tutta la durata della storia si assiste a dialoghi strani, all'insegna di un umorismo che diverte senza stancare e, naturalmente, bisogna spremere bene le meningi per venire a capo di enigmi che spesso vanno risolti più con la fantasia che con la logica. Come tradizione vuole, l'ufficio del nostro detective si trova in un ambiente malfamato, periferico, sporco e rappresenta la quint'essenza del disordine, d'altronde la storia ci ha insegnato che chi fa questo mestiere raramente gira in giacca e cravatta e appartiene alla popolazione aristocratica della città. La presentazione del gioco, naturalmente non è da meno con il nostro pennuto che viene scaraventato fuori da un locale (altrettanto malfamato), ubriaco fino al midollo per onorare la scomparsa del suo amico Mackenzie. Il rientro a casa gli fa trovare però un ospite inatteso, tale Phil Cloro, uno strano miliardario a cui sono state uccise barbaramente le amate piante e che, soprattutto, è uno che paga in contanti e anche in anticipo: un nuovo lavoro dunque che arriva nella fase di massimo sconforto, un monito per tutti a non lasciarsi mai andare.