Diciamo fin da subito che The Great Perhaps, concepito dallo studio indipendente russo Caligari Games punta tutte le sue fiches sulla narrazione, cercando di far leva su importanti sentimenti come la nostalgia e la solitudine. Fin dal filmato introduttivo infatti la percezione è di un prodotto diverso, volutamente studiato per indurci a riflettere. Un tentativo sicuramente coraggioso e al contempo difficile che, però, dimostra che il mondo dei videogames ha ancora molto da raccontare.
All'inizio del gioco notiamo immediatamente la mancanza della localizzazione nella nostra lingua di The Great Perhaps, scelta assolutamente non condivisibile dal momento che il gioco, almeno per i sottotitoli, è stato invece tradotto praticamente in tutte le altre lingue più importanti. Ad ogni modo il nostro protagonista, Kosmos, relegato nello spazio per una missione, all'improvviso nota un anomalo silenzio radio dal pianeta Terra. I suoi continui tentativi di contatto risultano vani, al punto che il nostro, anche per puro spirito di sopravvivenza, decide di usufruire della capsula criogenica e di andare in letargo per cento anni. Al risveglio, un miscuglio di sentimenti investe il nostro alter ego (e noi) con un ventaglio di emozioni che spazia dalla solitudine alla perdita della famiglia che comunque, apocalisse a parte, non sarebbe sopravvissuta così a lungo.
A smorzare il ritmo narrativo ci pensa l'unica nostra compagna, l'intelligenza artificiale L9 che durante l'ultimo secolo si è evoluta cercando di assimilare i difficili meccanismi delle emozioni umane. L9 è una macchina ma è diventata un'amica, l'unica, in grado di interagire con noi e di mostrare un certo, stranissimo, attaccamento nei nostri confronti tanto da dirci che "la nostra morte è irrazionale" e da chiedere di portarla con noi nel nostro viaggio di ritorno verso la Terra.
Siamo davanti quindi a un prodotto diverso, stracolmo di citazioni basculanti continuamente fra idee comuniste e capitaliste e soprattutto con continui riferimenti alla cinematografia e alla letteratura. Gli appassionati rivivranno le stesse emozioni degli ultimi capitoli del Ciclo delle Fondazioni di Isaac Asimov (con tanto di interrogativi su come sia la Terra anni dopo l'abbandono dell'uomo) ma proveranno la stessa nostalgia e voglia di rivivere il passato del bambino-robot di I.A.- Intelligenza artificiale, giusto per citare un paio di riferimenti. Una volta giunti sulla Terra infatti il nostro obiettivo principale è la ricerca di un contatto umano. Con una grafica cartoonosa e rigorosamente in 2D, muoviamo quindi i nostri primi passi sullo scenario una volta sbarcati dalla nostra navicella. Il percorso è obbligato così come la desolazione presente in un pianeta devastato da chissà quale cataclisma e tinteggiato da atmosfere lugubri e volutamente spoglie.
La nostra amica L9 ci segnala una presenza umana in un grande edificio poco più avanti, guarda caso il Buzludzha, vero e proprio monumento al comunismo che si mostra in tutta la sua decadenza. È proprio nel suo enorme anfiteatro che troviamo una strana lanterna, vera e propria protagonista di tutto il gameplay del gioco. Da quel preciso istante accendendola verremo proiettati nel passato mentre spegnendola torneremo naturalmente al presente. Questo continuo zompettare avanti e indietro nel tempo, in un certo senzo preannunciato dalla locandina di "Ritorno al Futuro" appesa sulle pareti della nostra astronave, ci permetterà di affrontare i vari scenari da una doppia prospettiva.
Tutta l'essenza del gioco si riduce alla risoluzione di vari puzzle ambientali che richiederanno di volta in volta continui balzi nel tempo. Quasi sempre troveremo in un'epoca l'oggetto che ci permette di sbloccare una porta o un'enigma nell'altra. È comunque bello rapportare continuamente la decadenza attuale con i fasti di un tempo anche grazie a un sapiente uso cromatico che oscilla dai colori vivi alle ambientazioni decadenti. Potremo accendere la nostra lanterna per più tempo oppure per brevi periodi, fermo restando che comunque la durata delle sue batterie ci permetterà al massimo un salto indietro di circa 15 secondi e, tutta la bravura che ci viene richiesta è nella scelta consapevole di momenti e spazi giusti: ad esempio useremo la lanterna per scappare dai nostri nemici, mentre utilizzarla come una piccola torcia ci permetterà di vedere cosa ci aspetta al di là del balzo e quindi evitarci di teletrasportarci sopra una situazione di pericolo.
Oltre ai semplici puzzle ambientali, tutto sommato facili da risolvere quindi, avremo poche scariche adrenaliniche durante il gioco, anche quando sarebbe stato necessario aggiungere un po' più di mordente. Il ritmo del gioco infatti è abbastanza lento, costringendoci spesso a lunghe passeggiate e comunque non impensierendoci più di tanto per tutta la poca durata dell'avventura. E' evidente quindi che gli sviluppatori hanno puntato più sulla narrazione che sul gameplay anche se questa bilancia pende troppo da un solo lato: peccato perché la sensazione che attanaglia il giocatore è quella di un'ottima idea realizzata però in maniera approssimativa. Ci sono anche molti elementi positivi, guardacaso proprio nel comparto tecnico con punte di eccellenza come il contrasto grafico temporale presente in certi scenari, ma con cadute rovinose in altri come la legnosità delle animazioni.
The Great Perhaps parte da un'ottima idea, abbastanza originale anche se non del tutto innovativa (i balzi temporali li avevamo visti anche in Dishonored 2) che punta comunque sulla nostra leva nostalgica invitandoci a riflettere su problemi drammatici come la solitudine e la necessità di comunicare con qualcuno. Dal punto di vista realizzativo la grafica volutamente cartoonosa e scarsamente definita rappresenta comunque una scelta stilistica particolare, prevalentemente nei salti temporali che ci mostrano contrasti che incuriosiscono e spingono ad andare avanti.
Da promuovere il comparto audio con musiche d'atmosfera che amplificano il senso di nostalgia e di disperazione presente nell'avventura, ma che si sposano benissimo con la trama di gioco. Il gameplay è fin troppo lineare con animazioni legnosette che non rovinano la parte esplorativa ma che cominciano a pesare nelle fasi leggermente più action: per fortuna il gioco risponde bene ai comandi, soprattutto all'uso del controller. Peccato per la mancata localizzazione nella nostra lingua, scelta assolutamente non comprensibile visto che manca solo l'italiano almeno per i sottotitoli e che pregiudica tutta la storia a chi non mastica (e discretamente anche) nessuna delle altre lingue supportate.
In conclusione The Great Perhaps avrebbe potuto essere realizzato molto meglio, ma ad ogni modo per il prezzo richiesto e per la storia comunque intrigante potrebbe meritare una possibilità
Modus Operandi:
abbiamo esplorato gli scenari di The Great Perhaps grazie a un codice fornitoci da Daedalic Entertainment, tramite Renaissance PR.